Dopo anni di attesa, con la legge 183/2011 e il successivo decreto del Ministero della giustizia n.34/2013, tutti i professionisti che svolgono un’attività regolamentata nel sistema ordinistico hanno la possibilità di unirsi e fare impresa in forma associata, scegliendo tra i modelli societari previsti dal Codice civile. Il 22 aprile scorso, in un periodo di congiuntura particolarmente negativa, sono entrate formalmente in vigore le società tra professionisti. Non saranno certo un aiuto decisivo per uscire da un pantano fatto di imprese che chiudono, pagamenti sempre più in ritardo, studi professionali che, per mancanza di liquidità, sempre più spesso mettono i dipendenti in cassa integrazione. Ma, probabilmente, possono essere una chance da valutare, aprendo uno scenario del tutto nuovo rispetto al divieto che è stato vigente nel nostro ordinamento per 72 anni, dal 1939 ad oggi. Certamente sono ancora molti i dubbi e le perplessità che caratterizzano questa prima fase di attuazione delle norme disciplinanti le società tra professionisti - le società avente a oggetto l’esercizio di una attività professionale per le quali sia prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico -, e soprattutto le società multidisciplinari - ovvero di quelle società tra professionisti costituite per l’esercizio di più attività professionali -, e probabilmente anche per questo ancora tardano a decollare. È vero anche che oggi gli studi associati rappresentano un modello di svolgimento della professione, almeno per quella economico-giuridico-contabile, per appena il 25% degli oltre 115mila iscritti, ma è anche vero che, al di là delle resistenze culturali, scontiamo una legge mal scritta, con più di un dubbio lasciato sul tavolo. Si pensi, ad esempio, alla possibilità che si applichi alle stp costituite sotto forma di società commerciali la disciplina delle procedure concorsuali laddove prevalesse la natura oggettivamente commerciale del modello societario sulla natura non commerciale dell’attività professionale. O ancora al tema che riguarda la responsabilità civile dei soci: chi risponderà degli eventuali danni cagionati al cliente di una Stp da un socio di una Stp costituito sotto forma di società di capitale? O ancora al problema fiscale ed in particolare alla qualificazione dell’utile prodotto dalla Stp ed ai profili previdenziali ad esso attinenti. Da ultimo, ma non certo per questo meno importante, rimangono ancora non pochi punti oscuri riguardo alla partecipazione del soggetto non professionista ad una società con oggetto esclusivo l’attività professionale, ammessa “soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento”. Se, infatti, con riguardo alle finalità di investimento appare chiaro che si tratta di un rapporto di capitale di rischio con finalità lucrative, qualche precisazione andrebbe svolta con riguardo alle prestazioni tecniche. Così come andrebbe chiarito se la previsione secondo la quale “la partecipazione ad una società è incompatibile con la partecipazione ad altra società tra professionisti” sia riferibile ai soli soci professionisti o se il divieto possa valere anche con riguardo ai non professionisti. Tante questioni irrisolte, dunque, che si sommano alla fisiologica, iniziale diffidenza nei confronti di una così rilevante novità: per questo motivo le Stp sembrano ancora lontane dall’essere percepite come una reale opportunità per un mondo, quello delle libere professioni, che pure di aperture e occasioni di crescita ha bisogno come il pane. Eppure con questo nuovo istituto faremmo bene a familiarizzare al più presto. Perché anche da lì potranno derivare nuove opportunità di lavoro in rete e un conseguente rafforzamento del nostro tessuto professionale.