L'Intervento
 
STP, attenzione ai fenomeni distorsivi
Valutarne attentamente l’operato sul merito affinché non minino il rapporto fiduciario tra cliente e professionista
Alessandro Solidoro, Presidente Odcec di Milano
 

La riforma delle professioni ha rappresentato per una breve, convulsa, stagione politica del nostro Paese un’urgenza improcrastinabile, la cui soluzione avrebbe dovuto liberare il mercato dei servizi professionali da lacci e lacciuoli, consentendo così di creare valore, sbocchi professionali, miglioramento della qualità dei servizi e, più in generale, un effetto positivo sul Pil nazionale. Una classe politica seria è chiamata a fare un bilancio a più di 18 mesi dalla riforma per verificare se sia stata utile, inutile o addirittura controproducente. Un corpo elettorale attento deciderebbe se dare o confermare la fiducia a una classe politica che legifera confrontandosi così poco con i destinatari della propria azione, invece di limitarsi a essere un esercito afono(1) e disorganizzato.
La stagione delle riforme ci ha lasciato tra l'altro anche clamorose e mistificatorie inutilità, una per tutte il tirocinio ridotto da 36 a 18 mesi, che, da un lato, squalifica il percorso formativo tecnico-professionale “sul campo” degli studenti e, dall’altro, li fa accedere all’esame di Stato esattamente nello stesso momento di prima, cioè 12 mesi dopo la fine dell’Università (questo poiché i 18 mesi di differenza nella lunghezza del tirocinio erano svolti “in convenzione” durante il corso universitario).
Segno che l’attenzione ai giovani nel nostro Paese è spesso poco più, e talvolta molto meno, che uno slogan(2).
La stagione delle riforme ci ha lasciato però l’obbligo di riflettere sui contenuti (cosa facciamo) e sulla modalità di organizzazione della professione (come lo facciamo).
Quanto al primo punto, la cortesissima redazione di Press non avrebbe a disposizione pagine sufficienti in un intero anno e quindi, lasciando le battute, concentriamoci sulla seconda. Le Società tra professionisti - regolate dalla legge 183/2011 e da ultimo dal d.m. 34/2013 - sono appunto tema che investe la “modalità di esercizio” e non la “modalità di esecuzione” della professione. Se è possibile scegliere qualsiasi forma societaria (società di persone, di capitale, cooperative) e se nello stesso soggetto giuridico possono esservi tra i soci sia professionisti iscritti agli Albi, sia soggetti diversi, è certo che l’esecuzione della prestazione compete sempre ed esclusivamente al professionista. Questo risulta chiaramente dall’art. 10, co. 4 lett. c), della legge 183/2011(3) che prevede il contenuto dello statuto delle STP, nonché dagli obblighi informativi verso il cliente e dalla impossibilità di avvalersi di ausiliari e sostituti a lui “sgraditi”(4). Quindi appellarsi contro le STP, in nome del principio costituzionale che impone l’esame di Stato per l’esercizio delle professioni regolamentate, è fuori luogo.
Se l’esecuzione della prestazione è  sempre del commercialista, non è così per la modalità organizzativa che può prevedere, come detto, soci non professionisti per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento. È qui che la normativa lascia maggiormente perplessi.
Servono i soci di capitale per le STP di commercialisti? Servono alla migliore efficienza delle stesse? La risposta non può ignorare che l’attività professionale del commercialista richiede un basso livello di investimento materiale, pochi spazi per l’esercizio dell’attività, poche attrezzature, investimenti software relativamente contenuti. Situazione evidentemente diversa da quella di altre professioni (ad esempio medici, ingegneri, architetti).
Il socio di capitale quindi difficilmente contribuirà al miglioramento dell’efficienza della gestione dello studio nell’interesse dei clienti, anzi l’effetto sui costi delle prestazioni dovrebbe essere incrementativo, dovendo remunerare anche un fattore di produzione, il capitale, fino a oggi non presente nelle prestazioni della nostra professione.
Allora perché preoccuparsi del socio di capitale, apparentemente poco utile sia alla STP stessa che ai fini della competizione dei prezzi nel mercato delle prestazioni professionali?
La risposta si trova nell’alterazione delle condizioni della concorrenza che il socio di capitale può indurre. Pensiamo a come imprese “forti” possano spingere il loro sistema di clienti o fornitori ad avvalersi di una STP in cui l’impresa “forte” è socia, perché solo la presenza di quello specifico soggetto professionale - nella redazione del bilancio, nel controllo contabile, nel controllo di gestione ecc. - può garantire la sussistenza del clima di fiducia necessario al mantenimento delle relazioni commerciali.
Riteniamo davvero che le norme introdotte sulla partecipazione ad un'unica STP, che la maggioranza dei 2/3 riservava nell’assemblea ai professionisti, e che la facoltà per il professionista di opporre il segreto professionale agli altri soci siano baluardi sufficienti ad impedire distorsioni del mercato?(5). E finalmente si arriva al punto della questione.
La STP con socio di capitale mina i principi cardine del rapporto fiduciario tra cliente e professionista: l’indipendenza di valutazione, l’autonomia di giudizio, l’assoggettamento rigoroso alle norme deontologiche. Principi che sono, insieme alla competenza professionale e all’onestà, i motivi della scelta di un professionista.
Sono principi che escono rafforzati o, come io credo, diminuiti dalla presenza di soci di capitale? Prudenza vuole pertanto che si presti grandissima, rigorosa, attenzione all’operato delle STP sul mercato, onde poter cogliere con immediatezza i risultati della loro introduzione e gli eventuali fenomeni distorsivi, che non irragionevolmente si temono.
Tuttavia sarebbe un errore non cogliere l’occasione per una riflessione che vada oltre le STP e valuti più in generale, se le strutture individuali o minime sono oggi adeguate alle caratteristiche del mercato. Tanto più oggi che la gravissima crisi dell’economia impone decisioni innovative. Troppe sono le materie e troppo elevato è il livello di conoscenza richiesto in ciascuna.
La risposta è nella specializzazione in aree di più elevata competenza, abbandonando progressivamente ciò che sarà agevolmente rimpiazzato dalle tecnologie. Questo non necessariamente significa che le specializzazioni trovino il miglior contesto nella struttura associata o societaria di esercizio della professione. Perché ciò avvenga è necessario che la struttura associata riconosca eccellenza alla preparazione, al merito, alle doti personali, consentendo ad ogni singolo di realizzare la propria individualità, ma nella integrazione delle competenze.
Anche gli Ordini debbono assumere una precisa responsabilità in questo contesto e operare per condividere con tutti gli iscritti conoscenze, studi, formazione, documenti, consentendo a tutti i colleghi di disporre del miglior bagaglio di competenze possibili, perché nessuno in questo processo resti privo di strumenti per avere il proprio ruolo nel mercato. In conclusione, occorre condividere per competere: le forme di questa condivisione sono davvero tante, le STP con socio di capitale è, tra queste, quella di cui si sentiva meno la mancanza.


Note
(1) Qualche importanza questo corpo elettorale l’ha. Nel 2008 erano oltre 2 milioni gli iscritti agli Albi professionali, con un volume di affari di 196 miliardi di euro, tra diretto e indotto, pari al 12,5 del Pil nazionale. In termini occupazionali considerando l’indotto allargato (servizi, macchinari, attrezzature per gli studi) parliamo di 3,95 milioni di posto di lavoro, il 15,9% dell’occupazione complessiva (Forte Cresme, dicembre 2010).
(2)  Per tacere del fatto che il tirocinio per l’esercizio della professione di dottore commercialista dura la metà di quello previsto per l’esercizio di una sua specifica funzione, la revisione. Principio che portato all’esterno induce a chiedere: ma per fare il Curatore occorre un tirocinio quinquennale? Per l’attestatore di piani, decennale? L’obiettivo è dichiarare che essere commercialista è il livello base della professione? Dopo 6 anni complessivi di formazione?
(3) “ d) criteri e modalità affinché  l’esecuzione dell’incarico professionale conferito alla società sia eseguito solo dai soci in possesso dei requisiti per l’esercizio della prestazione professionale richiesta; e) che la designazione del socio professionista sia compiuta dall’utente; in mancanza di tale designazione, il nominativo debba essere previamente comunicato per iscritto all’utente”.
(4) Art. 4 d.m. Giustizia 8 febbraio 2013, n. 34.
(5) Facoltà non obbligo si badi bene. Su questi temi si veda anche F. Grande Stevens, “Sole 24 Ore” del 3 marzo 2012. 

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N. 7 - Luglio 2013
 
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