Con l’entrata in vigore della legge n. 183/2011 è consentita la costituzione di società per l'esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, i cui soci professionisti devono detenere almeno i due terzi del capitale sociale, comunemente conosciute come SrlTP. Diviene così possibile l’apertura del mercato professionale a forme di partecipazione di capitale esterno, con la previsione, in base ai regolamenti attuativi, dell’obbligatorietà dell’iscrizione della società all’Albo professionale di riferimento, mentre in caso di società multidisciplinari, la società si deve iscrivere all’Albo relativo all’attività individuata come prevalente nello Statuto.
Lo strumento, che ormai non può più nemmeno essere considerato una “novità”, sta creando diversi problemi ancor prima della sua effettiva messa in esercizio. L’intenzione, infatti, è sulla carta lodevole: creare strumenti finalizzati a garantire nuove opportunità per rilanciare le professioni. Purtroppo, però, come è spesso accaduto, quando non vengono preventivamente consultati tutti gli attori coinvolti, il provvedimento si sta trasformando in una generalizzata fonte di incertezze. Più di un dubbio è stato lasciato sul tavolo sia dal punto di vista fiscale che, di conseguenza, previdenziale, e questo richiede la massima attenzione da parte degli amministratori delle Casse di previdenza.
Il Legislatore, infatti, ha stilato più delle “linee guida” che un vero e proprio articolato normativo a 360° e ciò sta alimentando diverse perplessità all’interno delle singole categorie professionali. Alcuni temi sono di non immediata soluzione. Come e da che soggetto deve essere riversato alle casse professionali di riferimento il contributo integrativo (il 4% sull’imponibile, nel caso dei dottori commercialisti)? Come devono essere calcolati i contributi, integrativo e soggettivo, per il professionista che aderisce ad una SrlTP?
Per cercare una soluzione ai diversi dubbi sollevati, è stato recentemente presentato un testo (art. 27 del disegno di legge in materia di semplificazioni) tendente ad assimilare il regime fiscale delle società tra professionisti a quello delle associazioni professionali, di fatto facendo prevalere la natura professionale dell’attività svolta rispetto alla forma con cui viene esercitata. Qualora il testo venisse approvato dal Parlamento nella forma proposta dal Governo, i singoli soci sarebbero tenuti a versare la contribuzione soggettiva e la contribuzione integrativa in proporzione alla quota di partecipazione agli utili, in assoluta continuità rispetto a quanto già oggi avviene per le associazioni professionali.
Questa linea risolve alcuni degli aspetti specifici per il professionista, soprattutto per quanto concerne l’assoggettamento del reddito prodotto al contributo soggettivo. Sarà destinato ad essere calcolato e dichiarato come un qualsiasi reddito da “quadro H”. Ma ancora una volta rimangono alcuni nodi da sciogliere, legati alla parte proporzionalmente riferibile al capitale: come deve essere trattata la quota di competenza del socio non professionista? Quale è il regime di tassazione applicabile? E, per quanto ci riguarda più da vicino, a quale trattamento previdenziale deve essere sottoposta?
Le norme delle diverse Casse (compresa quella dei dottori commercialisti, in base alla previsione del comma 1, art. 11, della legge. 21/1986) prevedono l’assoggettabilità di tutto il fatturato degli iscritti all’Albo alla contribuzione integrativa, e quindi, indubbiamente, anche quello prodotto tramite le società tra professionisti. Una volta chiarito questo punto, la portata delle disposizioni del disegno di legge in materia di semplificazioni non è di alcun aiuto al fine di vagliare diverse ipotesi tra cui quelle (alternative) di mantenere:
- in capo ai soli soci professionisti l’obbligo di dichiarare e riversare alla Cassa (o a più Casse, nel caso di multidisciplinarietà) la contribuzione integrativa residuale, sempre in proporzione alla loro singola partecipazione;
- l’obbligo in capo alla società di riversare alla Cassa di riferimento dell’Albo cui è iscritta (senza considerare la presenza di soci professionisti iscritti a Casse diverse?) la quota di integrativo residuale.
La prima soluzione avrebbe l’indubbio pregio, già da oggi per i dottori commercialisti e, in futuro, per tutti gli iscritti alle Casse che fossero in grado di avvalersi della possibilità di calcolare la pensione utilizzando anche una quota parte del contributo integrativo versato dal singolo (secondo la cd. legge ‘Lo Presti’), di avvantaggiare il socio professionista che vedrebbe incrementato il proprio trattamento pensionistico, mentre seguendo la seconda strada il gettito di integrativo sarebbe messo indistintamente a vantaggio del sistema complessivo.
Sicuramente deve essere rigettata qualsiasi ipotesi di assoggettabilità a contribuzione integrativa della sola quota di competenza dei soci professionisti, escludendo quella di competenza dei soci di capitale, sia perché la natura dell’attività svolta è sempre professionale, sia per evitare comportamenti elusivi dell’obbligo previsto dalla legge 21/86 (e dalle leggi, del tutto similiari, che regolano il funzionamento delle singole altre Casse).
Quello che ne risulta, pertanto, è un quadro molto sfumato che necessita di ulteriori correzioni e aggiustamenti in corso d’opera, per evitare malintesi e contenziosi sul fronte previdenziale dei soci professionisti, e non, delle SrlTP. Da ultimo, mi preme ribadire che le SrlTP sono sicuramente uno strumento in più a disposizione dei professionisti, ma sembra esagerato aspettarsi che possa diventare - come si è sentito da più parti - la panacea in grado di risolvere con un colpo di spugna la crisi che il lavoro autonomo professionale tra attraversando. In questo settore la capacità del singolo è ancora la risorsa strategica su cui lo stesso può contare per stare “sul mercato”. Per la nostra professione, poi, questo aspetto è ancor più marcato in quanto i dottori commercialisti non godono di attività in esclusiva, diversamente da altre figure professionali.